Servizio Civile Universale

I miei primi tre mesi a Nicoya

Written by Francesca

Sono esattamente tre mesi che mi trovo in Costa Rica, più precisamente nella provincia di Guanacaste, a Nicoya, considerata una delle cinque zone blu del mondo.

La Costa Rica, paese molto idealizzato, presenta però, come tutti, anche dei lati oscuri. Molti di questi già me li aspettavo, altri, invece, sono stati una ‘’sorpresa’’, così come anche il terribile caldo umido che mi ha travolta non appena sono arrivata. Nonostante ciò, la felicità di trovarmi un’altra volta in America Latina non si può descrivere! Tra gallo pinto (riso e fagioli), tortillas, frescos (i loro zuccheratissimi succhi artificiali ma fortunatamente anche naturali), maracuyás (frutto della passione) e tanto, tanto platano maduro, è iniziata la mia esperienza nel Barrio San Martín, quartiere di Nicoya piuttosto difficile.

Tre mesi non sono molti, ma a me sembra di essere qua da una vita, non perché il tempo passi troppo lentamente, bensì perché mi sono sentita come a casa fin dal primo giorno. Ogni persona che ho conosciuto fino ad ora si è sempre dimostrata di un’accoglienza e di una disponibilità incredibili, hanno tutti sempre in serbo una parola gentile, il loro modo di salutarti al mattino non è chiederti ‘’come stai’’ ma ‘’Cómo amaneció?’’, che significa ‘’Come ti sei svegliato oggi?’’, mentre quando devono salutarti per andare via non può mancare la loro benedizione ‘’Qué Dios te acompañe’’ o ‘’Qué Dios te bendiga’’ e penso che, al di là di chi sia credente o meno, questa  frase  racchiude tutta la loro premurosità.

Vivo in una comunità di Suore Salesiane molto piccola, infatti le suore sono solo tre: Sor Maria Elena, Sor Margarita e Sor Sonia, con la quale, la mia compagna Elena ed io, ci facciamo sempre un sacco di risate ed ormai è lei l’incaricata a scacciare le nostre nemiche numero uno: las cucarachas. Le attività che svolgo sono, prevalentemente, ‘’rinforzo scolastico’’ con i bambini delle elementari durante la settimana ed il sabato oratorio, durante il quale, prima del momento dedicato al gioco, mi dedico a lezioni di italiano. L’attività che preferisco è la visita al quartiere Nicarguita, chiamato così perché la maggior parte delle persone che ci vive proviene dal Nicaragua, ma non solo, e proprio per questo abbiamo iniziato a chiamarlo col suo nome originale, ovvero Barrio San Juan, in onore del proprietario del terreno che ha voluto donare a varie famiglie bisognose affinché potessero costruire la loro casa.

Nel Barrio San Juan ho conosciuto famiglie più riservate e altre più desiderose di dialogare, di raccontarti la propria la storia, ma ciò che le accomuna è sicuramente il loro duro passato che per molti è anche il presente. C’è chi vive in condizioni molto difficili e chi riesce a cavarsela un po’ meglio, tutti, però, ci hanno sempre regalato un sorriso, e non solo. Ci sono, infatti, due signore in particolare che molto spesso ci regalano tortillas con cuajada (un tipo di formaggio), cosa che non può mai mancare in una tavola tica, specialmente per gli abitanti di questa regione.

Per quanto riguarda il rinforzo scolastico, invece, tra un ‘’Ahorita vengo profe!’’ e l’altro, sono davvero pochi a venire, ma fortunatamente qualcuno è sempre presente. A questo proposito bisogna specificare che il loro ahorita può voler dire tre cose: subito, più tardi o addirittura mai.

Vivere a San Martín significa vedere i bambini giocare con i galli stuzzicandoli; vuol dire trovarsi iguane in giardino o scoiattoli che passeggiano sui cavi della fibra ottica che usano anche per affilarsi i denti (per cui poi bisogna chiamare un tecnico che li metta a posto); vuol dire avere come vicino un pappagallo che ogni tanto scoppia a ridere dal nulla  o sentire fuori casa l’equivalente del nostro arrotino che però vende bejibayes (frutto tipico) che ti consiglia di mangiare con maionese e caffè,  e questo è solo uno dei tanti loro bizzarri abbinamenti. Questa, però, non è l’unica cosa che vendono ‘’a tutto volume’’, perché non è raro che la vendita non sia solo di frutta ma anche di galline vive.

Qua le case non hanno i campanelli e quindi citofonare vuol dire urlare ‘’Upeee!’’ fuori dal cancello e aspettare che qualcuno esca.

Vivere a San Martín vuol dire tante cose e, nonostante i vari aspetti negativi che può avere, sono grata di essere qua.

Valentina, operatrice volontaria SCU in Costa Rica

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