Servizio Civile Universale

L’incontro con gli indigeni Bribri in Costa Rica

Written by Francesca

Un anno fa, quando ho saputo di essere stata selezionata per il Servizio Civile Universale, nell’indecisione iniziale sulla strada da intraprendere – se accettare o meno, se lasciare il lavoro, la casa, gli amici e l’equilibrio che stavo cercando di costruirmi – una sera ho aperto un quadernetto, sono andata all’ultima pagina – dove appunto le cose importanti per non perderle via – e ho disegnato una lunga linea retta. Nel foglio bianco diviso a metà, ho schierato i pro e i contro della partenza e in prima fila, senza esitare un secondo, ho scritto “esperienza con gli indigeni Bribri”. La prima grande motivazione per la quale partire, il pezzo forte indiscusso che da subito mi aveva convinta a candidarmi quando avevo letto il progetto di FVGS. Adesso, mi ritrovo a scrivere i ricordi dell’esperienza con i Bribri, indubbiamente felice della scelta di essere partita.

I dieci giorni in missione trascorsi a Melerük sono passati velocemente. L’esperienza sin da subito si è presentata come una continua sorpresa. Nei giorni precedenti alla missione, le raccomandazioni delle suore e di tutte le altre persone sono state tantissime: “Attenzione agli insetti, alle formiche, ai serpenti… Non c’è cibo, non c’è acqua, non bevete dal fiume! portatevi di tutto!…Chissà dove dormirete, vi ammalerete sicuramente…”.  Per fortuna, non appena ci siamo messe in viaggio su un furgoncino pieno di donazioni, zaini, acqua e provviste varie, ho lasciato tutte le preoccupazioni alle mie spalle, pronta per una nuova avventura. Non appena arrivate alle due scuole di Melerük, siamo state accolte dalla comunità indigena Bribri, dico comunità perché lì non abbiamo trovato solamente i bambini e le maestre ad aspettarci, ma anche tutte le mamme, le zie, qualche nonna, le stesse persone che poi ho scoperto abitassero nel villaggio insieme a noi. La comunità era la scuola, la famiglia e il villaggio.

Sin da subito mi sono accorta della semplicità, dell’educazione e della genuinità dei bambini. Qualcuno aveva camminato due ore per arrivare a scuola, qualcun altro un’ora. Erano i bimbi che venivano delle montagne e nonostante il lungo tragitto erano felici di accoglierci. Tutti erano contenti del nostro arrivo, di poter giocare e stare con noi. Durante quei giorni siamo state le invitate speciali della comunità. In realtà, noi siamo partite come le “inviate speciali”, le missionarie; eravamo noi a dover dare qualcosa, ma io sento di aver ricevuto molto di più di quello che ho dato.

La saggezza del popolo Bribri si è manifestata in ogni racconto, in ogni discorso, dai più piccoli ai più grandi. Un giorno, tornando dal momento doccia al fiume, io e un’altra ragazza ci siamo imbattute in due fratellini che ci aspettavano su per la collina. Avevano un mazzetto di fiori e un foglio da regalarci e la più piccola mi ha dato il foglio quando si è accorta che non avevo nulla in mano, dicendo: “questo è un regalo per voi, lo do a lei perché tu hai già i fiori in mano, così avete tutte qualcosa”. La sensibilità così spontanea di una bimba di quattro anni mi ha stupita, dimostrandomi che il prendersi cura dell’altro è un valore interiorizzato nel popolo indigeno.

Ogni giorno, un semplice momento di condivisione si trasformava in una lezione di vita. Gli anziani sono i tesori viventi della cultura Bribri, così quando sedevamo a casa dei nonni, le ore trascorrevano tra i racconti. Ci hanno trasmesso l’importanza del legame con la terra, del rispetto della natura, degli altri, degli animali e persino dell’aria. L’aria è ossigeno ed è vita. Il rispetto per dio Sibö che si manifesta in tutta la natura. Il rispetto per tutto ciò che ci circonda perché è vivo e ci sta ascoltando. Una cultura così sacra, antica e contemporanea allo stesso tempo. A proposito di “sostenibilità”, il nonno, fondatore del villaggio, diceva:  “vengono dalle università, da San José a parlarci di sostenibilità e a me piace confrontarmi con chi viene… Ma io chiedo a loro: voi cosa avete fatto per salvaguardare il vostro ossigeno? Voi avete distrutto i vostri alberi, le vostre montagne, avete costruito e basta. Invece, bisogna prendersi cura della terra, degli alberi, delle montagne. Loro sono il nostro ossigeno, sono la nostra vita”.

Ci hanno raccontato della lucha per difendere il territorio dagli interessi delle multinazionali, della preoccupazione di salvaguardare la loro identità nel tempo, della sostenibilità da trasmettere ai bambini, di come prendersi cura di Iriria, la madre terra. Ci hanno ricordato quello che noi a volte dimentichiamo: “L’importante della vita è vivere in pace e conversare. Sedersi a parlare e condividere le proprie idee”. “Tu puoi avere le tue origini, il tuo dio, la tua religione, ma siamo tutti esseri umani e questo è quello che conta”.

Insieme a loro ho avuto modo di vivere una vita semplice e autentica, fatta dell’essenziale. Si viveva il presente, si conversava, si condivideva con tutti. È stata un’esperienza unica e io potrei scrivere per ore tutto ciò che ho vissuto e appreso, le lezioni di vita e di amore alla vita che mi hanno trasmesso.

La pienezza di quei giorni così umili e ricchi allo stesso tempo mi ha fatto riflettere sul mondo al di fuori da questa piccola realtà. Il viaggio di ritorno in autobus mi è sembrato un viaggio nel tempo e il rientro in città è stato ancora più d’impatto di quello che credevo. Sicuramente adesso potrò fare una doccia calda senza andare al fiume, ma sento già un po’ il peso della solitudine e la lontananza dalla natura.

Irene, operatrice volontaria di Servizio Civile Universale in Costa Rica

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