Servizio Civile Universale

Buona Strada Cristel verso il Madagascar

Written by Francesca

Buona strada a me.

Zaino in spalla, è tempo di partire.

Alcuni amici mi accompagnano in aeroporto, passo il viaggio in silenzio ascoltando in sottofondo le loro battute, mi hanno regalato il loro tempo, la cosa migliore che potessi ricevere come buon augurio per questa nuova esperienza.

Ricordo bene le emozioni provate appena atterrata a Tanà: eccitazione, paura, curiosità, incertezza, ansia.…è l’inizio di un’incredibile avventura.

Buona strada a me.

Osservo fuori dal finestrino questa nuova terra che mi farà da casa per i prossimi mesi, percepisco il contrasto in tutto ciò che mi circonda, terreni rossi e verdi risaie, case in lamiera con abiti stesi al suolo accanto a lussuose ville dal giardino ben curato, la velocità delle auto che sfrecciano e la lentezza dei carri zeppi di verdura trainati da zebù, persone che chiedono l’elemosina e noi ‘vasaha’.

I primi giorni passano con la classica lentezza malgascia di cui ho tanto sentito parlare ma a cui non ero del tutto pronta. Qui tutto viene vissuto secondo la filosofia di vita del ‘mora mora’ (lento lento). Questa espressione che suggerisce di affrontare la quotidianità in modo calmo, tranquillo e sereno si riflette però anche nelle varie istituzioni e tra la lentezza della burocrazia e l’intenso traffico cittadino penso che il caos di Tanà renda confusionari persino i miei pensieri. Forse con un giudizio un po’ affrettato mi trovo a pensare che questa città non faccia per me.

I giorni passano e finalmente i documenti sono pronti, è il momento di partire.

La sede prescelta si trova ad Ambanja, una piccola cittadina di circa 30.000 abitanti a nord-ovest del Madagascar, conosciuta prettamente per le sue innumerevoli piantagioni di cacao.

Il nostro progetto si propone di supportare gli insegnanti nella gestione delle lezioni,  suggerendo nuove idee inerenti principalmente all’area delle abilità manuali e sportive.

Il tanto preannunciato impatto è arrivato di getto, tutto d’insieme, non appena ho varcato la soglia della petite section, classe a cui sono stata assegnata per il primo trimestre.

49 piccoli sorrisi sdentati mi hanno accolto dandomi il benvenuto. Ho sin da subito percepito una visione educativa molto distante da quella di appartenenza, un percorso di crescita che passa attraverso regole rigide ed aspettative senza lasciare spazio alla dimensione più emotiva.

Li guardo, così piccoli eppure già così responsabili, sanno riordinare le loro cose, sanno mettersi in file rigorosamente ordinate prima di uscire dalla classe, sanno rimanere in silenzio sulle loro seggioline per gran parte della mattinata e mi domando se tra una lezione ed una regola abbiano spazio per sentire e comprendere le loro emozioni. Forse la fretta di crescere, l’indipendenza, la disciplina sottraggono loro quel bisogno di vicinanza, di abbracci, di carezze che li fa sentire davvero amati, davvero visti.

Quando li ho incontrati per la prima volta li ho sentiti così estranei, così lontani (quanti nomi da ricordare! Chissà se mai riuscirò a memorizzarli tutti!) poi sarà il tempo o le routines che inizio ad interiorizzare, i loro sorrisi, le loro carezze, gli sguardi che si intrecciano, i loro bonjour maîtresse o semplicemente il desiderio di conoscersi, è così che piano piano o meglio mora mora con spirito osservativo e non giudicante, mi sono messa da parte e lasciando che fossero loro a guidarmi, che fosse il silenzio a parlare più delle parole, ho cercato un punto di incontro. Ho cercato di intravedere nella differenza linguistica non un ostacolo ma un’opportunità, osservo così i gesti, i sorrisi, ascolto le loro emozioni e le mie sensazioni, imparo altri modi di comunicare, mi lascio andare e faccio spazio a questa nuova cultura di entrare.

Cristel, operatrice volontaria di SCU in Madagascar

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